Louis Louis

24 Aprile - 29 Maggio

Potrà forse sembrare strano, in un momento così particolare, dedicare una mostra alle opere di Louis Louis. I personaggi che popolano il suo mondo, infatti, esseri umani dai tratti tanto banali, quanto privi di espressione o addirittura deformi, recano su di sé tutto il peso dell’esistenza. In un silenzio straniante, quasi assordante, siamo spinti ad addentrarci in una realtà, che solo per contraddizione ricorda quella limpida ed assolata di Edward Hopper, in un universo altro, e tuttavia prepotentemente vicino a noi, reale, dipinto con colori intensi, profondi, non sfumati, ma fusi uno nell’altro. Più di tutti i dettagli, sono gli occhi, gli sguardi vuoti, dal colore del nulla, a catturare la nostra attenzione e a comunicarci quel senso di disagio, che diventa presto inquietudine profonda: volti che ci fissano, e che al contempo sembrano non vederci, persi nella loro angoscia, da cui veniamo travolti e rapiti. Louis Louis coglie la nota stonata in un’apparente perfetta sinfonia musicale e ce la ripropone attraverso gli sguardi disumanizzati, privi ormai di coscienza, dei suoi protagonisti. In un delicato, vacillante equilibrio, tanto precario quanto allo stesso tempo assolutamente statico, ciascuna opera narra una storia di cui rappresenta solo un istante, un attimo sospeso che spalanca la porta sul senso profondo del nostro essere. Questi corpi, questi volti, che sembra a poco a poco si deformino man mano che la domanda esistenziale si fa sempre più pressante e vicina, non emergono da nessun luogo in particolare, nessuna scena li ambienta: è la banalità stessa dell’esistenza a fare loro da sfondo, frammenti di vita quotidiana, che ci ricordano appartenere a un mondo decadente, alienato, dove ognuno può perdersi nel caos. Tale sensazione di instabilità viene enfatizzata da una volontaria rottura della prospettiva, che fa apparire ogni personaggio come intrinsecamente fuori posto, sospeso ed ondeggiante in uno spazio che non gli appartiene. Ben si capisce come la produzione di Louis Louis derivi da un’attenta ed acuta osservazione della realtà e degli esseri umani, delle loro piccolezze, angosce e disumanità, ricordandoci che anche noi ne facciamo parte, e che, lungi dall’esserne estranei, non siamo immuni alla bruttura e alla corruzione che tanto ci spaventano, quanto ci incuriosiscono e ci pongono domande. Dunque è questo mondo angosciato e decadente di vite uniformi, dipinto con colori altrettanto uniformi, forse la versione più vera della quotidianità; l’invito del pittore è pertanto quello di non sospendere il giudizio, ma addentrarci in esso e interrogarci sull’origine di tutta quella tristezza, di quel latente e persistente senso di disagio che ci imprigiona e non ci lascia più, e che ci costringe a porci la domanda fondamentale sul senso della nostra esistenza. Dunque tutto ciò che pare solamente negatività è in realtà per l’autore pretesto di riflessione, che si trasforma in uno straordinario punto di partenza e di ri-partenza: ci si interroga sulla vita, sul sé, ci si riappropria di se stessi e da qui si ricomincia una nuova avventura. Ecco il senso delle opere di questo grande Maestro: senza buio non c’è luce, senza disperazione non c’è speranza e dalla speranza deve ripartire una nuova esistenza.
Francesca Gualandi

Potrà forse sembrare strano, in un momento così particolare, dedicare una mostra alle opere di Louis Louis. I personaggi che popolano il suo mondo, infatti, esseri umani dai tratti tanto banali, quanto privi di espressione o addirittura deformi, recano su di sé tutto il peso dell’esistenza. In un silenzio straniante, quasi assordante, siamo spinti ad addentrarci in una realtà, che solo per contraddizione ricorda quella limpida ed assolata di Edward Hopper, in un universo altro, e tuttavia prepotentemente vicino a noi, reale, dipinto con colori intensi, profondi, non sfumati, ma fusi uno nell’altro. Più di tutti i dettagli, sono gli occhi, gli sguardi vuoti, dal colore del nulla, a catturare la nostra attenzione e a comunicarci quel senso di disagio, che diventa presto inquietudine profonda: volti che ci fissano, e che al contempo sembrano non vederci, persi nella loro angoscia, da cui veniamo travolti e rapiti. Louis Louis coglie la nota stonata in un’apparente perfetta sinfonia musicale e ce la ripropone attraverso gli sguardi disumanizzati, privi ormai di coscienza, dei suoi protagonisti. In un delicato, vacillante equilibrio, tanto precario quanto allo stesso tempo assolutamente statico, ciascuna opera narra una storia di cui rappresenta solo un istante, un attimo sospeso che spalanca la porta sul senso profondo del nostro essere. Questi corpi, questi volti, che sembra a poco a poco si deformino man mano che la domanda esistenziale si fa sempre più pressante e vicina, non emergono da nessun luogo in particolare, nessuna scena li ambienta: è la banalità stessa dell’esistenza a fare loro da sfondo, frammenti di vita quotidiana, che ci ricordano appartenere a un mondo decadente, alienato, dove ognuno può perdersi nel caos. Tale sensazione di instabilità viene enfatizzata da una volontaria rottura della prospettiva, che fa apparire ogni personaggio come intrinsecamente fuori posto, sospeso ed ondeggiante in uno spazio che non gli appartiene. Ben si capisce come la produzione di Louis Louis derivi da un’attenta ed acuta osservazione della realtà e degli esseri umani, delle loro piccolezze, angosce e disumanità, ricordandoci che anche noi ne facciamo parte, e che, lungi dall’esserne estranei, non siamo immuni alla bruttura e alla corruzione che tanto ci spaventano, quanto ci incuriosiscono e ci pongono domande. Dunque è questo mondo angosciato e decadente di vite uniformi, dipinto con colori altrettanto uniformi, forse la versione più vera della quotidianità; l’invito del pittore è pertanto quello di non sospendere il giudizio, ma addentrarci in esso e interrogarci sull’origine di tutta quella tristezza, di quel latente e persistente senso di disagio che ci imprigiona e non ci lascia più, e che ci costringe a porci la domanda fondamentale sul senso della nostra esistenza. Dunque tutto ciò che pare solamente negatività è in realtà per l’autore pretesto di riflessione, che si trasforma in uno straordinario punto di partenza e di ri-partenza: ci si interroga sulla vita, sul sé, ci si riappropria di se stessi e da qui si ricomincia una nuova avventura. Ecco il senso delle opere di questo grande Maestro: senza buio non c’è luce, senza disperazione non c’è speranza e dalla speranza deve ripartire una nuova esistenza.
Francesca Gualandi

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